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Keith Moon e la sua pazzia: la storia del batterista dei The Who

La pazzia di Keith Moon: è tutto vero?

Di competizioni, almeno ideali, nella storia della musica ce ne sono state tante. Molti cantanti che si contendono lo scettro del miglior cantante di sempre, sospinti dai loro fan che adotterebbero il metro di giudizio più impeccabile per aver ragione. E poi la miglior band, la miglior canzone, il miglior testo o il miglior riff di chitarra. Insomma, a parlarne per intero occorrerebbero pagine e pagine. Di una cosa si può essere certi, però: la competizione tra John Bonham e Keith Moon è una delle più affascinanti di sempre.

Non parliamo di sfide tra i due, di dispute o di altro. Ma di quanto fossero importanti queste due personalità nel mondo della musica, e soprattutto di quale orma abbiano lasciato nel tempo. In occasione di quello che sarebbe stato il compleanno del batterista dei The Who – nato il 22 agosto del 1946 – non ci limiteremo a parlare sol del suo immenso talento, ma anche di quella che fu la sua grande pazzia. Che poi fosse pazzia, follia o semplicemente estro, non sta a noi stabilirlo. La pazzia di Keith Moon, tra realtà e fantasia, è forse tutto vero. Basta dar voce ad Alice Cooper, che di pazzie certamente se ne intende: “Solo il 30% delle cose che avere sentito su di me o Ozzy Osburne o Marilyn Manson è vero, tutto quello che avete sentito su Keith Moon è vero!”.

La distruzione degli strumenti sul palco

Non sempre il clima familiare e la vita che si porta avanti è sintomo di ciò che poi si diventerà. Lo sa bene Keith Moon, che ha vissuto in una famiglia dove la serenità e il clima affettuoso hanno regnato sovrano. Eppure, il suo carattere irrequieto si manifesta fin da subito. Inizia a far musica da autodidatta, senza saperla nè leggere nè scrivere, e si serve del jazz e dei grandi dischi del genere per imparare presto.

Nei Who ci entra certamente non in punta di piedi: è la prima metà degli anni sessanta, la band ha appena terminato un proprio concerto e il batterista si avvicina a Pete Townshend, dicendogli di saper suonare meglio dell’attuale batterista, Doug Sandom. Così si siede, dà prova di ciò che è capace di fare e distrugge lo strumento. Non può che diventare membro della band! In questo modo inaugura anche un’altra grande tradizione del rock, poi resa celebre da Jimi Hendrix: la distruzione degli strumenti sul palco. Forse un atto di eccessiva superficialità, forse lo spirito del rock che si incarna in atti di violenza pura. Non si sa cosa sia, ma Keith Moon è il principale interprete di queste pratiche; ad ogni fine concerto si assiste ad un massacro degli strumenti, una pratica che sembra aberrante ma che funziona.

Alcuni aneddoti su Keith Moon

La vita di Keith Moon, insieme alla sua morte, sono tutti concetti che restano ben chiari e noti nella mente dei suoi innumerevoli fan ma non solo. Ci sono alcuni aneddoti che, però, meritano di essere raccontati. Anche questa volta, tra realtà e fantasia, pur essendo certi che – se tutto ciò fosse vero – non ci stupiremmo comunque. Innanzitutto la scelta del nome Led Zeppelin: fu proprio Keith Moon a decidere che il nome della band sarebbe stato questo. Non una scelta diretta, chiaramente, ma dettata dal fatto che lo stesso volesse fondare un supergruppo che sarebbe volato alto proprio come il dirigibile. Jimmy Page lo ascoltò, e da lì nacque il capolavoro.

E poi la sua passione per gli esplosivi, che si tramutò in un modo per far passare il tempo. Una volta, utilizzando un candelotto di dinamite, fece esplodere il bagno di una stanza d’albergo. Il motivo? Semplice, si annoiava. E doveva annoiarsi davvero tanto quando decise di volare in piscina tuffandosi con la sua auto. La leggenda racconta che quell’auto sia stata conservata proprio lì, come fosse una reliquia. E che dire di quella volta che, una volta abbandonata una stanza d’albergo, decise di ritornarvi solo per far volare un televisore dalla finestra? Forse tutto ciò può sembrare semplicemente folle, ma in fondo fu questa l’anima di Keith Moon. E, che lo si voglia o meno, questa forse è l’anima del rock puro.

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