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Eric Clapton: i 5 assoli più incredibili di Slowhand

L’apporto del leggendario Eric Clapton sul panorama culturale moderno è inimmaginabile. Annoverato tra i fautori della chitarra moderna, la tecnica di Slowhand affonda le radici nel Blues del Delta, esaltandone prestigiosamente i caratteri più brillanti. Il talento di Eric Clapton l’ha trasformato in pochissimo tempo, da umile sognatore a stella del firmamento. Una stella destinata a brillare, inesauribile, contro l’inesorabilità del tempo che ha visto, purtroppo; obliare gran parte dei colleghi che affollavano le scene musicali dei suoi anni. Già negli anni ’60, il suo nome voleva dire una sola cosa, Dio della chitarra.

L’idolatria sorta nei suoi confronti mistificò la sua figura, arrivando al punto di veder comparire iconiche scritte sui muri della capitale Britannica. La storia di Eric Clapton comprende diverse, rovinose cadute verso un baratro oscuro come pochi. La straordinaria volontà del chitarrista di rialzarsi e affrontare le aspre vicissitudini che la vita gli ha posto di fronte, cercando il fuoco della speranza nella musica, rendono Slowhand e la sua chitarra, ancor più splendenti.

Pochi come lui possono affermare di aver rivoluzionato una corrente, già di per sé meravigliosa come il Blues, migliorandola ancora di più; e, sicuramente, altrettanti meno potranno dire di aver influenzato le generazioni sue postere con lo stesso impatto con cui Eric Clapton, è riuscito ad affermarvisi. In questa classifica, vogliamo rendere omaggio al genio di uno dei più grandi artisti esistenti, raccogliendo alcuni tra i suoi più grandi assoli.

5) Spoonful (1966)

Nel corso della loro carriera, i Cream hanno portato alla ribalta strumentisti sostanzialmente sconosciuti ai giovani della loro epoca. Così come nel caso di Robert Johnson con la meravigliosa interpretazione della celeberrima Crossroads, Spoonful, presente nell’album di debutto del gruppo, ha contribuito a porre all’attenzione del grande pubblico artisti come Willie Dixon, che scrisse il brano e gli Howlin’ Wolf, che lo registrarono sei anni prima dei Cream. La versione proposta dalla band è oscura, dominata da un basso marcatissimo e dalle note della chitarra di Eric Clapton. L’assolo di chitarra si apre giocoso e languido, per poi trasportare la band e l’ascoltatore, in primis, verso nuovi livelli di eclettismo attraverso fraseggi dalle fattezze mistiche.

4) Why Does Love Got To Be So Sad (1970)

Nel 1969, la carriera di Eric Clapton si trovò innanzi ad un vero e proprio bivio. Reduce dalla breve quanto intensa esperienza con i Blind Faith e dal successo logorante riscosso dai Cream, Slowhand scelse di intraprendere un nuovo cammino con i Derek And The Dominos. La band, fautrice di un album pietra miliare del Rock Blues degli anni d’oro, Layla And Other Assorted Love Songs, andò in tour durante la Summer Of ’70s, proponendo il disco dilatato attraverso lunghe jam strumentali che arrivavano a durare anche 15 minuti per canzone. Why Does Love Got To Be So Sad rappresenta il riuscito tentativo di Eric Clapton di approcciarsi al Pop da classifica di quegli anni. Non disdegnando tecnicismo ed estro artistico che, fino ad allora, non avevano fatto altro che esaltare la sua opera, Slowhand compone un brano impegnato quanto travolgente, dalle atmosfere calde e gioviali, sui quali stendere un tappeto di note ruggenti come poche nella storia della musica, espresse dall’iconica Fender Stratocaster del 1956, Brownie.

3) White Room (1968)

Tratto dall’album Wheels Of Fire dei Cream del 1968, il brano contiene alcune tra le fantasie meglio riuscite di Eric Clapton. L’utilizzo del Wah Wah nei fraseggi intermedi che accompagnano la solennità delle strofe, talvolta contrastandola, è meticoloso come pochi. White Room funge da apertura al terzo album della band. Sin dalle prime, evocative e melodrammatiche note della intro, si capisce che ci si trova di fronte ad un caposaldo della cultura musicale moderna. Il culmine espressivo del brano giunge alla fine, con un assolo in cui l’identità artistica di Slowhand esplode copiosamente, lasciando l’ascoltatore in estasi.

2) Crossroads (1968)

La rivisitazione dei Cream del brano di Robert Johnson è passata alla storia come una tra le migliori esecuzioni di chitarra nella storia della musica moderna. Basandosi su una ritmica aumentata rispetto all’originale, i Cream jammano su un Blues essenziale a 12 barre, dando il meglio di sé; il sound è inconfondibile. La Gibson SG di Slowhand risuona negli echi dei decenni come il marchio di fabbrica di una band che ha gettato le basi dei paradigmi concettuali con cui, ad oggi, il Rock viene definito.

1) Layla (1970)

Quando Eric Clapton fondò i Derek And The Dominos per fronteggiare la scena degli anni ’70, aveva già suonato con alcuni tra gli artisti di maggior spicco sulle scene di quegli anni. Consapevole del suo ruolo nel panorama, Clapton decise di dedicare una spassionata e sofferta ode d’amore alla donna che inquietava le sue atroci notti di perdizione. Patty Boyde, al tempo moglie dell’amico e collega George Harrison, era diventata, non solo la sua musa ispiratrice, ma oltre tutto, il suo principale monito alla vita, in un periodo particolarmente oscuro della sua vita. Layla, quindi, vede la luce dal tormento infinito dell’artista. Un capolavoro come pochi che attraverso la sua incisività manifesta pienamente i sentimenti del chitarrista. Il brano culmina con un tripudio di melodia ed eleganza spiazzante, a rimarcare il caos emotivo provato da Slowhand in quegli istanti.

 

 

 

 

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