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Iron Maiden: la storia dell’album che rivoluzionò il Metal

Ad oggi, conosciamo gli Iron Maiden come una delle Metal Band fautrici del genere al quale appartengono e, ovviamente, come star di enorme successo. Forti di una brillante carriera quarantennale, i Maiden circumnavigano il globo sul Jet pilotato dal loro mitico cantante, Bruce Dickinson; perpetrando un’audace competizione coi loro rivali statunitensi, i Metallica.

Eppure, quattro decenni fa, le circostanze erano ben diverse. Era il gennaio del 1980 quando, il bassista Steve Harris e i suoi commilitoni, approdarono ai Kingsway Studios di Londra, per dare inizio alle incisioni del loro iconico selftitled di debutto. I membri della band erano poco più che ventenni. Quando entrarono in studio, gli Iron Maiden avevano all’attivo un solo EP autofinanziato, intitolato Soundhouse Tapes. Dopo aver tentato in vano di cominciare a registrare un album due volte, la band riuscì, finalmente, a tagliare l’agognato traguardo.

Visti i presupposti, saremmo portati a pensare che il clima respirato in studio dai Maiden fosse madido d’ansia. Eppure, l’allora frontman del gruppo, Paul Di’Anno ricorda di aver dato inizio ai lavori con forte ottimismo: “Eravamo troppo eccitati per accusare la pressione di ciò che stavamo facendo. Eravamo consapevoli della nostra unicità. Nessuno, all’epoca, sarebbe stato capace di proporre al pubblico qualcosa di simile”, ha detto Di’Anno nel corso di un’intervista.

“In due anni, avevamo suonato praticamente ovunque nel Regno Unito, solo alcuni locali potevano essere valutati come location decenti. In realtà, l’unico ad avere dei dubbi, all’epoca ero io, ma ero troppo arrogante per ammetterlo. Quando entrai in sala d’incisione, non avevo idea di dove cominciare”.

Paul Di’Anno racconta le controversie subite dagli Iron Maiden

Sebbene la storia del debutto degli Iron Maiden si sia aperta in un’atmosfera assolutamente gioviale, gli screzi dovuti alle pressioni della label, perturbarono ben presto gli equilibri della band britannica. La EMI diede la possibilità agli Iron Maiden di incidere il proprio disco di debutto in una finestra di tempo limitatissima. Questo, a causa dell’incombente tour dei Metal For Muthas al quale la band avrebbe dovuto prendere parte.

Così, mentre i Maiden auspicavano per l’arrivo in produzione di Martin Birch, la label affidò il loro lavoro a Will Malone. Birch era impegnato con il disco dei Black Sabbath senza Ozzy Osbourne alla voce. Malone, fino ad allora, non aveva mai lavorato alla produzione di un album. I risultati furono pressoché catastrofici. Will si dimostrò disinteressato e la band cominciò ad ignorarlo, come del resto, lui aveva fatto sin dall’inizio.

Gli Iron Maiden dovettero, quindi, provvedere ad auto prodursi. Paul Di’Anno, infatti, ha ricordato quanto l’album sia esplosivo e che l’unica pecca sia la mediocrità delle finiture nel missaggio. In ogni caso, la crudezza della produzione dei Maiden, rispecchia, col senno di poi, le atmosfere Heavy, aggressive e rudimentali tracciate dai brani.

L’aggressività fu fondamentale per il loro successo

L’intero album è un concentrato di ferocia in pieno stile Heavy Metal. Un rivoluzionario tripudio di rabbia ed esaltazione che coadiuvò gli Iron Maiden nella riuscita del disco; sebbene si trovassero nel pieno dell’esplosione Punk internazionale.

La voce di Paul Di’Anno si sposava alla perfezione con le correnti più aggressive del Rock, pur venendo disdegnate costantemente da Harris e dagli altri membri del gruppo, più propensi verso il virtuosismo e tendenti ad uno stile compositivo tecnicamente eclettico.

Paul Di’Anno si definì come l’elemento Punk degli Iron Maiden sul palco. Questo, a causa del suo spiccato anticonformismo e della sua personalità particolarmente volubile che, poco dopo l’uscita dell’album, costò al cantante la dipartita dalla band.

 

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