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Come l’indie rock sta influenzando l’Italia

Nella maggior parte dei casi sono voci quasi casuali, che non hanno una radice contestualizzata e che non derivano dal desiderio diretto, da parte dell’ascoltatore, di ricerca e scoperta. Nella maggior parte dei casi, di conseguenza, sono voci fuori dal coro ma che poi restano tali, lontane da meccanismi artistici di crescita e radicalizzazione, men che meno di estremizzazione di un concetto, di un’ipotesi artistica. Molto spesso ci si ricorda di nomi impronunciabili, di perifrasi utilizzate per romanzare quella che altrimenti sarebbe terminologia banale, di melodie orecchiabili e di facile presa nell’ascoltatore e che, diciamocelo senza troppi giri di parole ipocriti, a dire il vero piacciono a tutti. Almeno per una volta. Stiamo parlando dell’indie italiano, di quel genere musicale che in realtà non è un genere musicale, di quel modo di fare e pensare la musica che ha rivoluzionato l’intendere e volere del nostro paese. Ma come è riuscito, anche se in pochi anni, questo tipo di realtà culturale ad imporsi decisamente? Cerchiamo di capirlo al di là di quell’atteggiamento pregiudizievole che condizionerebbe ogni nostra veduta.

L’equivoco di fondo dell’indie rock italiano

La determinazione basica che necessariamente va presa in considerazione è di tipo tecnico, e come tale si sviluppa in quell’espressione evolutiva che l’indie rock italiano ha assunto nel corso dei suoi anni. In qualche modo, come nella maggior parte dei casi – ma non è un problema, ogni realtà artistica deriva da un’altra -, l’indie italiano si origina da un modo di fare e pensare la musica che italiano non è, ma che vive di importazione.

Il nostro obiettivo non è, però, riconoscere la radice di questa tendenza, ma la sua espressione in termini di appendice, che ha portato – come dicevamo forse troppo provocatoriamente – l’indie ad essere un genere musicale che non è un genere musicale. Il motivo è presto spiegato: quel carattere indipendente, lontano dal discorso di etichetta e pubblicizzazione in termini di industria musicale, non esiste davvero all’interno del mercato italiano, che per l’appunto si presenta in quanto tale e propone delle logiche lontane da ciò che l’indie dovrebbe essere.

Ciò porta l’indie ad esistere in una formula incredibilmente funzionante, che fa sì che ci si ritrovi nel centro ideale di due concetti musicalmente opposti: libertà artistica a basso costo e costruzione discografica programmata e finanziaria. In altre parole, l’indie rock funziona come un genere libertino ma allo stesso tempo schiavo dei mercati, delle sue tendenze ed espressioni, dei suoi desideri continuamente soddisfatti. Nel dirla alla Caparezza: Se mi dicono il popolo intero c’ha fame, | rispondo: “Mi spiace, perlomeno c’ha l’arte”.

La comunicazione italiana dell’indie

L’Italia è territorio di comunicazione, di strategia dialettica dell’arte e di presentazione maniacale dei concetti. E l’indie ne è incarnazione ideale, quasi spasmodica del suo modo di fare ed esistere. In un atteggiamento di ricerca ossessiva del proprio territorio di comunicazione, l‘indie rock italiano è diventato tutto ciò che di elaborato si potrebbe pensare. Questo, naturalmente, funziona su più livelli: dalle singole parole al nome di artisti e formazioni (Pinguini Tattici Nucleari? I Cani? Eugenio In Via Di Gioia?), dai ritmi artistici ai bpm di ogni brano, passando per discorsi molto più complessi che richiederebbero un’antologia molto più variegata. Ci piace pensare che l’esempio più significativo della complessità del linguaggio comunicativo indie è dettata dal fatto che i suoi prodotti sembrino, e non di rado, incredibilmente banali.

Chiaramente, si potrebbe dire che anche questo modo di fare non è nuovo: nel punk si sputava a terra e si odiava la Corona, nel grunge ci si vestiva sciatti e si suonava la chitarra al contrario. Risponderemmo, nel caso di dichiarazioni di questo tipo, che il gioco è sempre lo stesso: come suggeriva qualcuno di ben più preparato di noi, lo spirito vive diacronicamente, attraverso la circolarità e la linearità delle epoche. Nulla, a farla semplice, è davvero nuovo. 

L’indie che tira più di un carro di buoi

Ribadendo le nostre esigenze strutturali di non poter dedicare pagine intere a questa piccola digressione, vogliamo concludere indicando un’ultima ma significativa motivazione banalizzante, ma forse non troppo lontana dalla realtà e ancora una volta, sia chiaro, per nulla pregiudizievole. Con molta e pratica probabilità, l’indie vi ha permesso di approcciare almeno per una volta, all’altro, qualunque sia stato il finale di questa storia. Esiste una certa portata popolare della musica che si ascolta e che ha portato, in altre epoche, il rock ad essere definibile il genere musicale di selvagge storie d’amore, e non neghiamo che una certa influenza abbia portato tanti a credere che, in fondo, l’obiettivo di una certa passione non è altro che il suo esercizio.

Con una certa presa visione della realtà, in tante occasioni si è sentito urlare a squarciagola “Quanto è puttana questa felicità”, e non importa che un certo atteggiamento sia passeggero o modaiolo. L’importante, in fondo, è che funzioni.

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