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Fabrizio De André, I principali insegnamenti delle sue canzoni

L’11 Gennaio 1999 ci lasciava Fabrizio De André. La sua personalità è stata ed è tuttora una delle più importanti del nostro cantautorato. Lucio Dalla ebbe a dire di lui che ha scritto delle cose formidabili e soprattutto è stato veramente un prototipo di quello che sarebbe diventato dopo una figura ufficiale come il cantautore. Ciò che disse Dalla si configura di più come veritiero, in quanto costantemente i nuovi cantautori si ispirano a lui. A buon diritto, Faber – come lo soprannominò l’amico Paolo Villaggio – è entrato nelle antologie scolastiche. Ha superato quel confine tra musica e poesia a volte esistente per essere definito un poeta e scrittore a tutti gli effetti. Nell’anniversario della sua morte, più che sul punto di vista formale – su cui tanto già si è detto – vogliamo concentrarci sugli importanti insegnamenti che hanno potuto fornirci le sue canzoni.

La rivalsa degli emarginati e degli sconfitti

Quella di Fabrizio De André viene sovente chiamata poesia dei vinti. Sappiamo bene che nelle sue canzoni al centro quasi sempre vi sono personaggi umili, sconfitti ed emarginati. Emblema di questo è stata l’Antologia di Spoon River, ispirazione di Non al denaro non all’amore né al cielo, concept album dove figure come il malato di cuore o il matto si esprimono appieno. Le prostitute sono altri personaggi ricorrenti, come in Via del campo. Nella citatissima Il pescatore vediamo l’emblema della solidarietà umana, così in Andrea un amore omosessuale è il centro di un messaggio anti-militarista. Reietti ma anche emarginati, i testi di De André ci insegnano a lottare per gli ultimi e a non dimenticarli. Come Umberto Saba, a cui si ispira in La città vecchia (da una poesia omonima di Saba) è in mezzo agli umili che Faber trova il suo posto. Dando anche un grande pregio ai quartieri più particolari di una Genova che ha amato e cantato anche attraverso il dialetto ligure.

L’analisi della società, della politica e della religione

Fabrizio De André ha raccolto attorno a sé anche diverse polemiche per via di alcune sue posizioni politiche. In generale, tuttavia, a prescindere dalla nostra convinzione ideologica non si può negare che questo cantautore abbia saputo analizzare dinamiche della società in un modo unico e puntuale. La profondità dei contenuti di certe canzoni, come Il testamento di Tito, ci induce spesso a citarlo come esempio e monito di fronte alle ingiustizie, alla corruzione ed a situazioni complesse. L’occhio dell’autore è sempre stato molto attento nell’intenzione, sempre brillantemente palesata, di dileggiare il potere e demistificare la società. Meccanismi come la guerra sono intrisi di amara verità, nello scontro tra due soldati vittime anch’essi della guerra stessa, costretti ad uccidere per non essere uccisi. E questo è solo uno dei tanti esempi che potremmo citare. La buona novella, lavoro assai frainteso alla sua uscita, è un’analisi interessante dai Vangeli apocrifi. L’emblema politico però lo raggiunge Storia di un impiegato, rivalutato solamente negli anni ’90 (prima di ciò Faber entra in polemica anche con Giorgio Gaber), per la grande forza che possedeva.

Il potere della musica e della parola

Pensavo è bello che dove finiscono le mie dita, debba in qualche modo cominciare una chitarra. Ci dice De André nella canzone più autobiografica che ha composto: Amico fragile. Questa chitarra e quelle parole hanno parlato a tutti noi per tanto tempo. Il cantautore è foriero di un modo di comunicare che ci ricorda gli artisti di strada, i cantastorie, i giullari. Con riferimenti anche a tempi andati (celebri i gendarmi con i pennacchi di Bocca di rosa) pone sempre al centro la grande forza comunicativa del racconto, della parola. Lui stesso ha spiegato come scrivere gli permettesse di essere libero, ma anche di essere ricordato. E così dopo anni siamo ancora qui a non far perdere questo ricordo attraverso le sue canzoni. Ci hanno insegnato molto altro ancora, questo è certo.

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