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Giorgio Gaber, “Io come persona” e lo smarrimento dell’uomo

Giorgio Gaber nasceva il 25 Gennaio del 1939. La sua scomparsa ha portato via al mondo della musica e della cultura in generale un osservatore attento e puntuale della realtà. Il genere del Teatro Canzone, che ideò con Sandro Luporini, pittore e artista brillante, aveva come presupposto principale proprio questo. Mostrare le fragilità e le inadeguatezze dell’uomo comune, sempre di fronte allo specchio di se stesso e di una società sovente incapace. Il problema politico, psicologico, morale fa delle canzoni di Giorgio Gaber attualissimi quadri di un mondo che lui stesso aveva criticato, ma anche stimolato a fare di più. Il mondo dell’umanità, dove libertà è partecipazione e essere persone non significa recare maschere, ma agire con uno scopo. Esserci. Cosa significa esserci come persone? Lo spiega in “Io come persona”, una brillante canzone.

E pensare che c’era il pensiero

Nel 1994 al Teatro Vittorio Alfieri di Torino Gaber si esibisce con E pensare che c’era il pensiero, spettacolo teatrale tra i più amati del Gaber degli anni ’90. Come accadeva spesso, dalla registrazione dello spettacolo venne fuori un album dall’ampio respiro, illuminante e rivoluzionario. Chi non aveva potuto esperire quei momenti dal vivo, ha potuto rivivere la performance dell’artista attraverso il disco. Questo contiene alcuni tra i brani più amati di Giorgio Gaber, come Destra-Sinistra, Mi fa male il mondo, Canzone della non appartenenza, Se io sapessi, Quando sarò capace d’amare, ecc. Come sempre, unisce all’argomento socio-politico quello più strettamente quotidiano. L’indagine psicologica dell’io trova ampio spazio in testi che, grazie alla penna di Sandro Luporini, risuonano comunque di grande chiarezza.

Io come persona… ci sono

Io come persona è forse una delle canzoni più intense del repertorio di Giogio Gaber. Il tema è già ampiamente stato trattato nella sua discografia: le conseguenze della società contemporanea sull’uomo. In un tempo, ripete più volte in anafora, e descrive la tragica condizione socio-politica dei nostri tempi. Questa condizione di smarrimento, paura, indifferenza, in cui il solo contributo che ognuno sembra poter dire è il voto, crea la sensazione di non servire più a nulla, di non esistere. Perché è proprio quel partecipare che manca, l’esserci come persona. La parte cantata, poco melodica, viene anche interrotta da un piccolo monologo recitato.

Ma la salvezza personale non basta a nessuno. E la sconfitta è proprio quella, di avere ancora la voglia di fare qualcosa, e di sapere con chiarezza che non puoi fare niente. È lì che si muore. Fuori e dentro di noi.
Sei come un individuo innocuo, senza giudizi e senza idee. Un individuo sempre più smarrito e più impotente. Un uomo al termine del mondo ai confini del più niente.

Esserci come individuo e insieme

Il concetto forse più poetico quanto quasi triste espresso nel brano con grande coinvolgimento da Gaber è proprio quello di un’inutilità dell’uomo come individuo. L’individualità e la libertà del singolo sono irrealizzabili se non sono accompagnate da idee e giudizi che creano la possibilità di costruire qualcosa insieme. “Ai confini del più niente” si trova un uomo che non riesca ad avere fiducia e fece nel futuro. Ma alla fine Gaber lo dice:“Io come persona ci sono”. Il quadro di atroce sofferenza e smarrimento appena dipinto, si apre quindi verso una nuova luce di speranza.

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