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Perché “La buona novella” di Fabrizio De André è una rivoluzione del Novecento

Fabrizio De André è un artista che conosciamo tutti. Malgrado la sua prematura scomparsa, ad oggi è ancora uno dei più citati e amati del panorama musicale italiano. Secondo molti, tra i quali Lucio Dalla, ha contribuito a definire in maniera assai puntuale e precisa cosa significa essere un cantautore. Eppure, anche se adesso lo osanniamo tutti, a volte la gente ha frainteso De André. Nel corso della sua carriera è stato accusato di qualunquismo e criticato per la difficoltà di comprensione di certi suoi testi. L’album che venne capito meno da molti fu senza dubbio La buona novella, ispirato ai vangeli apocrifi. Eppure, è una pietra miliare della storia del secondo Novecento.

Un album considerato anacronistico

Durante un concerto al Teatro Brancaccio, il 14 febbraio 1998, Fabrizio De André parlò a proposito di questo disco. In un celebre discorso spiegò come fosse stato accusato di aver costruito un album anacronistico, ma precisando anche come non fosse stato capito:

Quando scrissi “La buona novella” era il 1969. Si era quindi in piena lotta studentesca e le persone meno attente – che sono poi sempre la maggioranza di noi – compagni, amici, coetanei, considerarono quel disco come anacronistico. Mi dicevano: “Ma come? Noi andiamo a lottare nelle università e fuori dalle università contro abusi e soprusi e tu invece ci vieni a raccontare la storia – che peraltro già conosciamo – della predicazione di Gesù Cristo.” Non avevano capito che in effetti La Buona Novella voleva essere un’allegoria – era una allegoria – che si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del ’68 e istanze, da un punto di vista spirituale sicuramente più elevate ma da un punto di vista etico sociale direi molto simili, che un signore 1969 anni prima aveva fatto contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell’autorità.

La buona novella e Gesù Cristo per gli intellettuali

Abbiamo quindi già capito – nel remoto caso che non ne fossimo a conoscenza – su cosa si basa effettivamente questo grande disco. I vangeli apocrifi – che De André riprese su suggerimento di Roberto Dané, con cui scrisse l’album – sono il pretesto per un quadro allegorico della società e non solo. Gesù Cristo è una figura raccontata in maniera del tutto diversa grazie alle nuove fonti, diverse dai dogmi cristiani, una figura che perfino gli intellettuali atei hanno sempre citato. Pensiamo a Dario Fo, che lo cita continuamente ad esempio in Mistero Buffo con La nascita del giullare, ma anche Elsa Morante. Quest’ultima lo paragona a un rivoluzionario come Karl Marx. De Nel suo album si inserisce in una tradizione particolare e varia di intellettuali che hanno visto in Gesù Cristo una figura fondamentale e da analizzare alla luce non solo della fede, ma in generale. Sempre al Teatro Brancaccio Faber ci dice:

Apocrifo vuol dire falso, in effetti era gente vissuta: era viva, in carne ed ossa. Solo che la Chiesa mal sopportava, fino a qualche secolo fa, che fossero altre persone non di confessione cristiana ad occuparsi, appunto, di Gesù. 

Il coraggio alla base di questo grande lavoro discografico sta nella capacità di prendere la figura di Gesù e farne qualcosa di assolutamente eccezionale. Una riflessione profonda che è ancora profondamente attuale.

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