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Our Darkest Days: il punk hardcore firmato Ignite

Nel 1993 vede la luce, a Orange County, uno dei gruppi Punk Hardcore più validi degli ultimi dieci anni, ma purtroppo scarsamente conosciuto a livello internazionale: gli Ignite. Ospiti di punta, assieme ad altre band melodic punk (come i più noti Rise Against) al Bay Fest 2017 (festival punk di Igea Marina, vicino Rimini), meritano davvero di essere apprezzati e ascoltati maggiormente, soprattutto nel nostro paese. La band, insieme da 24 anni, è molto attiva anche dal punto di vista socio-politico, con un’attenzione particolare alle conseguenze del Comunismo Sovietico nell’Europa dell’Est, alla resistenza e rivoluzione del popolo ungherese, a cui appartiene il cantante Zoli Teglàs, e ad associazioni internazionali come Earth First, Doctors Without Borders, Sea Sheperd e Pacific Wildlife.

Dopo il successo dell’album A Place Called Home nel 2000, la band californiana si prende una pausa dagli studi di registrazione, si dedica ai live e poi, ben sei anni dopo, aggiunge un capitolo fondamentale alla storia del genere punk, pubblicando Our Darkest Days con l’etichetta Abacus Recordings, che ad oggi è probabilmente il loro lavoro più riuscito e musicalmente completo. La perfetta commistione di punk melodico, hardcore punk e rock alternativo, si traduce nella complementarità tra una parte vocale più melodica e una sezione strumentale ritmica e travolgente. L’elemento più originale della band è sicuramente il cantante, Zoli Teglàs, che con la sua timbrica vellutata, aperta e al tempo stesso acuta e graffiante, è una vera rarità in questo genere.

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La maggior parte dei brani sono caratterizzati dalla voce, che si contrappone alle chitarre malinconiche e metal di Brian Balchack e Nik Hill (ad oggi sostituito da Kevin Kilkenny) e alle metriche di batteria galoppanti di Craig Anderson. Già nel primo pezzo, Intro: Our Darkest Days, troviamo tutti gli elementi che caratterizzano l’intero album: un drumming punk hardcore esplosivo, una parte vocale ricca e profonda, rinsaldata anche da pezzi corali a tutto respiro e riff di chitarra più metal e alternative rock. I brani che seguono vanno a comporre un progetto coerente e organico dal primo all’ultimo minuto. A pezzi come Poverty for All, Are You Listening, Know your History e Save Yourself, in cui riff di chitarra aggressivi e metal accompagnano una voce quasi parlata e irruenta, si contrappongono brani relativamente più melodici e rilassati, come My Judgement Day, Slowdown, Three Years e Strenght. Mentre Poverty for All tratta appunto il tema della rivoluzione del popolo ungherese, con una ritmica incalzante e travolgente, Slowdown e Three Years sono forse due dei brani più emblematici dell’altro volto degli Ignite, caratterizzato da un gusto elegante e pacato.

La giusta via di mezzo, richiesta dall’ambivalente anima hardcore e melodic punk della band, viene raggiunta in pezzi di altissimo livello, quali Bleeding, Fear is our Tradition e Let it Burn, probabilmente la canzone più bella e musicalmente riuscita di tutto l’album. La scaletta viene infine completata da due pezzi che danno un respiro totalmente diverso all’intero lavoro degli Ignite: Sunday Bloody Sunday e Live for Better Days. Mentre il primo pezzo è la rivisitazione convincente del famoso brano degli U2, in chiave punk hardcore e alternative rock, il secondo è l’unico brano acustico di . Qui, le doti canore di Zoli Teglàs sono pienamente apprezzabili, libere di esprimersi a pieno respiro accanto al solo accompagnamento della chitarra. La sua voce è vellutata e aperta, capace di adattarsi tanto a pezzi hardcore, come quelli precedenti, quanto a brani acustici e maggiormente melodici, come questo.

Articolo di Giulia Prosperini

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