Era il 30 novembre del 1979 quando i Pink Floyd pubblicarono uno degli album di maggior successo della storia della musica. The Wall, undicesimo album in studio della band britannica, è una pietra miliare del rock e, dopo 40 anni, è ancora molto amato ed apprezzato.
Roger Waters ed il suo alter ego: Pink
C’è un precedente fondamentale, un precedente che ha piantato le basi dell’album The Wall. Il 6 luglio del 1977 Roger Waters, ai ferri corti con il suo pubblico, sputò in direzione di un fan durante un concerto a Montreal. Un gruppo di spettatori in prima fila infastidì particolarmente il musicista dei Pink Floyd, la cui replica innescò una reazione a catena. Il compositore britannico esigeva dei fan attenti, educati e consapevoli. E, in quell’esatto momento, sentì il bisogno di isolarsi, di costruire un muro insuperabile: una netta divisione tra band e pubblico. Roger Waters prese un pezzo di carta e, mattone dopo mattone, parola dopo parola, iniziò a comporre la sua opera e a raccontare la sua storia. Non lo fece però in prima persona, si inventò un alter ego: Pink.
Delle tre parti del progetto ‘The Wall’, album tour e film, la seconda è stata indubbiamente la più complessa da realizzare: “Originariamente avevo due progetti in mente: il primo era quello di innalzare un muro sul palco, il secondo di bombardare lo spettatore con qualcosa.” Ha spiegato Roger Waters,aggiungendo: “Mi piaceva l’idea di rendere il pubblico protagonista, anche se in negativo. “
Il The Wall Tour, l’ultimo con Roger Waters
Il The Wall Tour si tenne a cavallo tra il 1980 e il 1981 e, oltre per gli ovvi motivi, è rimasto nella storia come l’ultima tournèe dei Pink Floyd con il leggendario Roger Waters.
Alla fine l’ambiziosa idea di Waters di costruire un muro fu accolta con grande entusiasmo dalla band. Molti, però, sottolinearono presto un paradosso: se The Wall era nato come un concept album, frutto del desiderio di alienazione di Waters nei confronti del pubblico, cosa sarebbe successo se questo malessere si fosse riversato in un tour?
Paradosso a parte, il piano iniziò presto a prendere forma. Iniseme al designer Mark Fisher, Waters, Bob Erzin e Gerald Scarfe iniziarono a dar forma al progetto. “La giornata partiva alle 8 e 30 del mattino a casa di Gerald: prima guardavamo le sue bozze, poi parlavamo con Fisher della scenografia. Abbiamo passato giorni e giorni a pensare a quei mattoni e a fare in modo che, se fossero caduti, nessuno sarebbe rimasto ferito.” Ha raccontato il fumettista britannico Gerald Scarfe, aggiungendo: “Conoscendo il personaggio vi sembrerà strano, ma Waters mi lasciò carta bianca: avevamo lo stesso umorismo cinico.”