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5 motivi per cui The Final Cut è il miglior album dei Pink Floyd

Rovistando tra i giudizi della critica e degli appassionati in merito ai migliori album dei Pink Floyd, ci si rende conto che, di solito, The Final Cut, non solo non viene quasi mai preso in considerazione; ma spesso, compare tra i peggiori mai proposti dalla band; almeno per quanto riguarda il periodo di Roger Waters. Ebbene, però, seppur ristretta, una fetta di pubblico sostiene che The Final Cut, non solo non meriti assolutamente gli epiteti dispregiativi a tratti attribuitegli, ma che, questo, addirittura, sia un vero e proprio capolavoro dei Pink Floyd. Un disco in cui Roger Waters esprime a pieno il suo genio.

The Final Cut, meriterebbe, quindi, un apprezzamento maggiore tra i fan dei Pink Floyd. Rilasciato nel 1983, The Final Cut è un concept album che si incentra sulla denuncia degli orrori della guerra e l’indignazione contro i capi di stato che scelgono di indurre al conflitto. L’album, avrebbe dovuto vedere la luce come colonna sonora del film The Wall, ma Roger Waters cambiò rapidamente la direzione del disco appena entrò al corrente dello scoppio della Guerra delle Isole Falkland, nell’aprile del 1982. Il conflitto fu breve; la Gran Bretagna si scontrò con l’Argentina che aveva invaso la piccola colonia inglese delle Isole Falkland, costringendo lo stato ad intervenire per imporgli la ritirata. In questo articolo, abbiamo raccolto alcuni dei motivi per i quali, The Final Cut rappresenta uno dei punti più alti nella carriera dei Pink Floyd.

5) The Final Cut è stato un atto di coraggio

Pubblicare The Final Cut fu una mossa molto brusca per Roger Waters in termini organizzativi, eppure, l’artista sentiva il bisogno di sensibilizzare l’opinione pubblica in merito ad un conflitto che, a seguito degli orrori della Seconda Guerra Mondiale, nel corso dei quali, ricordiamo aver perso il padre, sembrava ridicolo e crudele. Rischiare migliaia di vite per la conquista di due isolotti apparve come un gesto di assoluta crudezza agli occhi del bassista che, quindi, decise di dare a The Final Cut, tutt’altro utilizzo. Ciò che rende l’album così bello, è l’apporto emotivo con cui Waters esprime la sua amarezza. I brani sono molto introspettivi, ma la sua interpretazione li spinge a tutt’altri livelli.

 4) La continuità temporale dell’album

Il disco si apre con The Post-War Dream, il cui testo apre la questione sull’economia Britannica e sulle strategie di guerra del Primo Ministro inglese Margaret Thatcher, per attaccare l’Argentina. Ad introdurre la canzone, il suono di un’autoradio che si sintonizza su una stazione. Anche l’ultimo brano dell’album esordisce allo stesso modo. Inoltre, Two Suns In The Sunset include anche il rumore dell’auto in corsa sulla strada; quindi, il disco inizia dove finisce. Nelle lyrics dell’ultimo brano, Waters si concentra sulla brutalità della guerra nucleare, irrompendo definitivamente nel cuore di chi ascolta al minuto 2:17, in cui viene riprodotto il violento scoppio di un ordigno bellico.

3) Il tributo di Waters a suo padre

Roger Waters osserva uno struggente tributo a suo padre nella strabiliante Fletcher Memorial Home, che prende il titolo dal nome del padre. Si tratta di un brano nostalgico, che tuttavia, non si esenta da scagliare feroci critiche contro personalità politiche come Ronald Regan, la sopracitata Margareth Thatcer e Richard Nixon. Mentre Waters li designa come coloni assassini, David Gilmour commuove gli ascoltatori con un assolo memorabile.

2) The Final Cut non appartiene solo a Roger Waters

In molti definiscono The Final Cut come uno slancio solista di Roger Waters, in realtà, non è così. Sebbene Waters e Gilmour avessero, essenzialmente, tagliato i ponti, il leggendario chitarrista scrive per il disco alcune linee fenomenali, mentre il batterista Nick Mason, rimarca la sua figura “equilibrante” all’interno della band, risultando flemmatico e provvidenziale. Solo il tastierista Richard Wright, che fu licenziato dallo stesso Waters durante le sessioni di The Wall, viene estromesso anche nella composizione di The Final Cut.

Il fatto che il bassista abbia composto larga parte dell’album, non fu una novità per i restanti membri del gruppo che, in fin dei conti, non proponevano nuovo materiale dai tempi di Wish You Were Here. Lo sforzo compositivo di David Gilmour da Animals in poi, infatti, fu davvero minimo; considerando che il chitarrista abbia scritto, nel corso di quegli anni, solo Dogs e abbia lavorato a quattro mani con Waters per tre brani di The Wall, ovvero Young Lust, Comfortably Numb e Run Like Hell.

1) L’album contiene dei brani memorabili

The Final Cut contiene alcuni brani fondamentali nella discografia dei Pink Floyd. Not Now John è l’esempio lampante della versatilità del gruppo. Una canzone dalle chiare inflessioni Hard Rock, in cui la voce di David Gilmour primeggia su quella di Waters, ancora una volta principale compositore. Il riff è molto incisivo così com’è tuonante la batteria. Not Now John è una critica al materialismo estremo del mondo globalizzato.

Altra traccia importantissima, è la stessa titletrack che, pur essendo una rimanenza delle sessioni di The Wall, rimane un lavoro meraviglioso. Il testo tratta tematiche estremamente delicate come l’isolamento e il suicidio, particolarmente avvezze al concept di The Wall. Pur non collimando perfettamente con la struttura sociopolitica di The Final Cut, l’interpretazione di Roger Waters alla voce è così travolgente da adattarsi splendidamente alle atmosfere generali del disco.

 

 

 

 

 

 

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