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Beatles: Quella volta che lottarono contro il razzismo rifiutandosi di suonare

Ci troviamo innanzi ad un periodo storico particolarmente critico. Il mondo intero si sta mobilitando per la lotta contro il razzismo, innescata negli Stati Uniti. Il mondo della musica sta, costantemente, mostrando cordoglio ed empatia, nei confronti delle vittime del sistema americano, attraverso iniziative benefiche e manifestazioni. Il razzismo, però, è, da sempre, un male eccessivamente radicato in determinate culture. Già nel 1964, i Beatles lottarono contro il razzismo, compiendo un passo particolarmente importante per il mondo della musica contemporanea nella lotta alla segregazione razziale.

Migliaia di persone attendevano il celeberrimo quartetto di Liverpool, ma questi, decisero di non entrare in scena perché il pubblico venne diviso per razza senza il consenso della band. I Fab Four mostrarono il loro supporto nei confronti dei diritti civili statunitensi, rifiutando di esibirsi al Gator Bowl di Jacksonville, in Florida. I Beatles non cedettero neanche alle pressioni degli spettatori. Le autorità presenti in loco permisero agli spettatori afroamericani di mischiarsi tra la folla.

I Beatles e la lotta al razzismo raccolta in un documentario

Il regista Ron Howard fornisce i dettagli di quanto accaduto nel documentario intitolato The Beatles: Eight Days A Week, da lui diretto. In particolare, Howard spiega che, quello del razzismo, sia sempre stato un tema caldo per i quattro Beatles. A Jacksonville, John Lennon salì sul palco per ribadire la posizione della band. In particolare, il musicista disse:Non abbiamo intenzione di esibirci davanti a platee divise. Non abbiamo mai voluto e non vogliamo iniziare adesso”.

Paul McCartney ha, poi, ricordato che, nel corso delle riprese, molti episodi siano ritornati alla mente dei quattro membri dei Beatles, ma che nessuno fosse incisivo come i fatti di Jacksonville. Per il quartetto di Liverpool, scoprire il lato più oscuro degli Stati Uniti fu devastante e, quindi, decisero di esercitare la fortissima influenza che avevano sul mondo intero per sensibilizzare le masse in merito a temi critici come quello del razzismo.

Nel 1965, i Beatles decisero di procedere per vie legali, al fine di tutelare sé stessi e i loro fan dalla piaga del razzismo. Il quartetto di Abbey Road, infatti, scelse di stipulare un contratto in cui veniva messo per iscritto che   si sarebbero rifiutati di esibirsi in luoghi con platee separate per razza. La band, compì questo gesto prima di affrontare un’importante esibizione al  Cow Palace, in California.

La battaglia che ha ispirato Blackbird

La scelta di firmare un contratto del genere prima del concerto in California era mirata a rimarcare l’impatto dei Beatles sulla lotta per le uguaglianze. Purtroppo, gli Stati Uniti sono, tristemente, famigerati per i cruenti episodi di razzismo da parte delle istituzioni, a causa dei quali, proprio in questo momento, il popolo conduce  aspre rivolte.

Il monito dei Beatles contro il razzismo ispirò uno dei loro classici più famosi. Paul McCartney diede alla luce Blackbird ripensando a quanto accaduto in California. L’ormai ex bassista dei Beatles ha ricordato che, il loro, fosse stato il primo concerto libero dalla segregazione razziale. Il pensiero di McCartney si è, poi, rivolto nei confronti di una giovane di nome Kitty. “Ancora oggi, sono molto fiero di aver firmato quel contratto. Kitty ricorda il concerto al Cow Palace come il suo primo contatto con la popolazione bianca. Il nostro gesto, all’epoca, fu davvero clamoroso”.

 

 

 

 

 

 

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