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Bob Marley: il giorno in cui cercarono di assassinare il cantautore giamaicano

Torniamo oggi a parlare di uno dei più grandi artisti della musica mondiale: Bob Marley. Cantante, attivista e vero e proprio rivoluzionario, Marley ha dato la sua vita per la musica, combattendo con tutte le sue forze contro le ingiustizie del mondo e contro le oppressioni politiche e razziali. Verrà ricordato, infatti, tanto per la sua inconfondibile musica quanto per l’impegno politico e sociale. Per conoscere al meglio un artista, infatti, non basta analizzarne la musica e le opere, bisognerebbe andare a ricercare i fattori che l’hanno spinto a scegliere proprio quel determinato sound, quei determinati temi. Nel caso di Bob Marley, poi, questi temi erano così caldi da infastidire non poche persone e, qualcuno, un bel giorno cercò perfino di ucciderlo.

La Kingston degli anni settanta: caos e disordini

Nel 1976 Bob Marley aveva da poco rilasciato l’iconica ‘No Woman, No Cry‘ ed era già una star internazionale. Il paese in cui era nato, la Giamaica, viveva però un periodo di grandi disordini e conflitti. Kingston era invivibile: armi da fuoco, attentati, violenze, lotte sociali. A gettare benzina sul fuoco poi -come spesso accade- ci pensò la politica: da una parte il People’s National Party (guidato dal primo ministro Michael Manley), dall’altra il Jamaica Labour Party (rappresentato da Edward Seaga). Entrambe le fazioni si accusavano a vicenda, alimentando le tensioni sociali fornendo armi e finanziamenti per creare ancora più disordini.

In questo disordine assoluto e caos c’era, poi, Bob Marley. La sua filosofia, la sua religione rastafariana predicava pari diritti per tutti, uguaglianza ed amore. Tematiche -purtroppo- troppo lontane dalle ideologie del suo paese. L’iconica voce di ‘No Woman, No Cry‘ -tra l’altro- cercò di distaccarsi quanto più possibile dalla politica locale, evitando qualsiasi riferimento o citazione che potesse far pensare ad un possibile schieramento. Il messaggio che tentava di lanciare era infatti di unione, non di divisione.

Nel dicembre dello stesso anno accettò poi di tenere un concerto gratuito –Smile Jamaica Peace Concert– ad una sola condizione: non ci sarebbe dovuto essere alcun coinvolgimento politico. In quel preciso periodo, in quelle condizioni, in quegli anni -però- era tutto un gioco politico. Quando poi il primo ministro spostò la data delle elezioni al 15 dicembre -quindi dieci giorni dopo lo show di Marley- molti pensarono fosse una strategia politica.

Bob Marley: il giorno in cui cercarono di assassinare il cantautore giamaicano

Bob Marley si ritrovò quindi, a sua insaputa, ad essere un bersaglio facile per l’opposizione. La sera del 3 dicembre 1976 -appena due giorni prima lo show- poco più di 5 uomini armati penetrarono a casa Marley al numero 56 di Hope Road. Sua moglie Rita fu colpita alla testa, il manager Don Taylor al torso e alle gambe e Bob Marley ad un braccio e al petto.  Nonostante l’abitazione fosse piena di bozzoli nessuno dei presenti morì. Furono in molti a dare la colpa all’opposizione e, dopo tutto quel caos, qualcuno si domandò se era ancora il caso di tenere quel concerto.

Bob Marley però non volle sentire ragioni: “le persone che stanno causando tutto questo caos non si prendono alcun giorno libero, come posso permettermelo io allora?”. Tirarsi indietro, proprio in quel momento, avrebbe infatti significato darla vinta alla violenze e alla guerra. Per Bob Marley, tutto ciò, era a dir poco impensabile.

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