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5 album Rock che hanno quasi distrutto le carriere degli artisti

Le più grandi Rock Band di tutti i tempi hanno subìto, nel corso delle loro carriere, picchi di fama altissimi e ripidi bassi distruttivi. Che si trattasse di semplici momenti no o di lunghi periodi distruttivi, solo il senno di poi poteva venire incontro a questi artisti, tentando di riportare in auge le loro carriere o, nel peggiore dei casi, distruggerle. Ovviamente, la fine di un artista può derivare dalle motivazioni più disparate. Che si parli di nuove tendenze, fuori dai canoni tecnici e compositivi delle band o di scelte di marketing o musicali sbagliate, in molti, negli anni, hanno dovuto affrontare picchi negativi. Ci sono alcuni album, comunque, che hanno quasi distrutto le carriere di alcuni tra i più grandi artisti nel mondo del Rock. Li abbiamo raccolti in quest’articolo.

Bob Dylan – Self Portrait

In pochissimo tempo, Bob Dylan seppe affermarsi come il simbolo di un’intera generazione di artisti, definendo da zero la figura del cantautore Rock. I suoi versi, posati con eleganza su strumentali avvolgenti di stampo Folk, hanno reso il suo status leggendario. Negli anni, Dylan non compì nessun passo falso tale da portare la sua carriera ad un punto irreversibile. Self Portrait del 1970, però, rappresentò il tentativo volontario del cantautore di mettersi a rischio, proponendo un disco poco convenzionale su cui l’artista volle imprimere un’istantanea del periodo che stava vivendo all’epoca. Il risultato fu alquanto discutibile e, gli ascoltatori, lo accolsero freddamente. In ogni caso, Dylan è rimasto un’icona culturale, a dispetto delle scelte singolari adottate per il disco.

Def Leppard – Slang

I Def Leppard vissero i loro anni d’oro nel segno dell’Hair Metal attraverso una commistione sonora di genialità e melodie di stampo catchy. Virtuosismi e lustri abbaglianti contraddistinsero i Def Leppard degli anni d’oro. Negli anni ’90, però, quando le manifestazioni stilistiche non erano più contemplate nelle ferventi scene Alternative Rock, i Leppard tentarono di stare a galla con Slang. Si trattò di un disco mediocre; un flirt decisamente poco riuscito con il Grunge che portò la band sull’orlo del baratro, a dispetto dei pochi riff più che accettabili presenti. Nonostante questa pagina nera e, di conseguenza, demoralizzante, al termine dell’imperversare del Seattle Sound, i Def Leppard seppero reinventarsi con successo, attraverso Euphoria.

Metallica – St. Anger

Tra gli album peggiori che hanno quasi distrutto le carriere dei giganti del Rock, l’esempio più clamoroso è, sicuramente, St. Anger dei Metallica. Si trattò di un disco nato nel segno di incomprensioni di ogni sorta e di drammi sfiorati. Dalla dipartita di Jason Newsted, a causa di “incomprensioni creative”, agli eccessi e dissolutezze con cui Lars Ulrich e James Hetfield affrontarono la fama. St. Anger è famigerato tra gli appassionati per essere il disco dei Metallica “senza rullante”, date le sue profondissime lacune in termini di produzione. In ogni caso, lo status leggendario dei Metallica e la forza di volontà dei membri della band, li spinse ad uscire dal periodo buio in cui erano piombati.

Rush – Caress of Steel

Dopo Fly By Night, il flusso di coscienza dei Rush li spinse a creare un progetto tanto ambizioso ed avanguardistico da destare profondo scetticismo nei loro confronti. Caress of Steel fu un rischio tanto pericoloso quanto calcolato in cui il gruppo simbolo del Progressive Rock canadese decise di incorrere. Il disco avrebbe gettato le basi per il sound successivo della band, nonostante inizialmente fosse stato accolto con gelida indifferenza.

Pearl Jam – No Code

Il sogno di ogni musicista in erba è quello di portare la propria passione sui palchi più prestigiosi di tutto il mondo, al cospetto di folle oceaniche in adorazione. Eddie Vedder dei Pearl Jam, però, non è mai stato di quest’avviso. Dopo aver gettato le basi per la corrente Alternative Rock che imperversò negli anni ’90, l’artista tentò in tutti i modi di prendere le distanze dai riflettori e dalla scena mainstream, adottando soluzioni sonore sempre più singolari, pur riscuotendo sempre un successo straordinario. Il frontman dei Pearl Jam riuscì a raggiungere il suo scopo con No Code. Un disco decisamente fuori dagli schemi che, però, incrinò i rapporti interni al gruppo, spingendo Vedder a compiere un passo indietro nei lavori successivi.

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