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Perché i Pink Floyd sono cosi amati e popolari?

Pink Floyd sono senz’altro una delle band rock più apprezzate in senso assoluto. Chi ama il rock, ama questo gruppo britannico capace di segnare intere epoche e di fornire ispirazione a numerose generazioni successive. Nonostante il loro scioglimento risalga ormai al 1995, salvo rare reunion, i membri della band restano sempre nell’immaginario collettivo di un pubblico sconfinato.

Per quali motivi i Pink Floyd sono così amati e popolari in tutto il mondo? Ecco le ragioni principali grazie alle quali il complesso di Syd BarrettNick MasonDavid GilmourRoger WatersRichard Wright viene considerato indimenticabile da tantissimi fan. Ce ne sarebbero molte altre da menzionare, ma abbiamo scelto i motivi più lampanti e universali.

Pink Floyd, una storia davvero fuori dal comune

Uno degli elementi grazie ai quali i Pink Floyd continuano a far sognare i loro appassionati riguarda proprio la loro storia stessa. Per oltre tre decenni, il gruppo si è reso protagonista di una serie infinita di salite, discese e risalite. Se si parla della band inglese, si pensa al genio folle di Syd Barrett, alla personalità istrionica di Roger Waters, alla classe un po’ più ragionata di David Gilmour. Ovviamente, senza dimenticare lo straordinario contributo di Nick MasonRichard Wright.

La follia pura di Syd Barrett

Ed è proprio dalla follia fuori dal comune del primo leader della band, Syd Barrett, che si scoprono tante cose. La sua mente era geniale e al tempo stesso intrisa di demoni impossibili da estirpare. Più che semplice musica, la sua era ed è pura arte dai contorni magici. Nonostante le mille difficoltà, era in grado di dare forma a capolavori straordinari. Ogni suo singolo lavoro viene ancora oggi considerato immortale. Non a caso, gli altri membri dei Pink Floyd gli hanno dedicato buona parte della loro produzione successiva, compreso lo struggente album Wish You Were Here.

La massima espressione del rock psichedelico

Ancora oggi, parlare del rock psichedelico senza nominare i Pink Floyd sembra impossibile. Il loro primo album, The Piper at the Gates of Dawn, riesce ad incarnare perfettamente questo genere. L’addio di Barrett non disperse una creatività straordinaria e consentì alla band di reinventarsi grazie a dischi un po’ controversi come More Ummagumma. La qualità resta sempre elevata grazie ad un team formato da quattro musicisti di alto livello, ognuno dei quali eccelle nelle proprie competenze. Tuttavia, bisogna ricordare che, in molti casi, la band ha visto calare il proprio interesse nei riguardi della psichedelia, così come si nota anche in dischi come Atom Heart MotherMeddle.

I tre album che hanno proiettato i Pink Floyd nella leggenda

Dal 1973 in poi, l’obiettivo dei Pink Floyd diventa quello di esprimere concetti alti e complicati e di metterli a disposizione del pubblico medio. Inutile dire che la band rock ci riesce benissimo. Lo si nota in The Dark Side of the Moon, un album nel quale il gruppo fotografa alla perfezione la generazione nella quale è vissuto. Riesce a infondere sensazioni uniche e straordinarie, grazie ad autentiche perle come The Great Gig in The SkyTime. È un disco che punta più sulle emozioni che sulla musica vera e propria.

L’evoluzione della band prosegue con il più toccante Wish You Were Here. La title-track e Shine on You Crazy Diamond sono due capolavori assoluti, entrambi con chiari riferimenti allo sfortunato e rimpianto Barrett. Dopo il disco materialista Animals, giunge il momento del terzo album memorabile della band, The Wall. Forse questo album non è ai livelli dei due citati, magari la sua impronta è un po’ più pop, ma resta un manifesto politico e sociale da conservare con la massima cura.

La fine della band britannica

Anche le circostanze che hanno condotto alla fine dei Pink Floyd hanno reso questa band ancora più popolare. The Wall fu un album faticosissimo, durante il quale Richard Wright si mise alla guida del gruppo grazie ad una personalità molto più forte delle altre. Tuttavia, il disco fu l’inizio della fine, culminata con The Final Cut. Troppe frizioni interne, troppi dettagli da curare per ogni concerto-spettacolo, troppe diversità uscite fuori alla distanza. Gli album successivi avrebbero continuato a riscuotere un notevole successo di pubblico e critica. Ma qualcosa si era rotto, in maniera irrimediabile. Fino a far entrare i Pink Floyd nella leggenda.

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