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Le canzoni più tristi del cantautorato italiano

La storia della musica italiana, specie nell’ottica più specifica del cantautorato, ha regalato delle vere e proprie perle che ancora oggi vengono ricordate per la loro incredibile bellezza. Talvolta, queste perle nascono da un sentimento di tristezza, di angoscia o di negatività che è stato trasposto in musica, e che ha portato alla realizzazione del grande capolavoro di cui possiamo parlare. Vogliamo sottolineare quali siano le canzoni più tristi del cantautorato italiano, attraverso un cenno ad alcuni dei nomi più importanti che la nostra storia abbia raccontato.

Cantico dei drogati

La prima tra le canzoni più tristi del cantautorato italiano di cui vogliamo parlarvi è Cantico dei drogati, prima traccia del secondo album in studio di Fabrizio De Andrè, Tutti morimmo a stento.

A parlarne è stato proprio il cantautore genovese: «Riccardo Mannerini era un altro mio grande amico. Era quasi cieco perché quando navigava su una nave dei Costa una caldaia gli era esplosa in faccia. È morto suicida, molti anni dopo, senza mai ricevere alcun indennizzo. Ha avuto brutte storie con la giustizia perché era un autentico libertario, e così quando qualche ricercato bussava alla sua porta lui lo nascondeva in casa sua. E magari gli curava le ferite e gli estraeva i proiettili che aveva in corpo. Abbiamo scritto insieme il Cantico dei Drogati, che per me, che ero totalmente dipendente dall’alcool, ebbe un valore liberatorio, catartico. Però il testo non mi spaventava, anzi, ne ero compiaciuto. È una reazione frequente tra i drogati quella di compiacersi del fatto di drogarsi. Io mi compiacevo di bere, anche perché grazie all’alcool la fantasia viaggiava sbrigliatissima. Mannerini mi ha insegnato che essere intelligenti non significa tanto accumulare nozioni, quanto selezionarle una volta accumulate, cercando di separare quelle utili da quelle disutili. Questa capacità di analisi, di osservazione, praticamente l’ho imparata da lui. Mi ha anche influenzato a livello politico, rafforzando delle idee che già avevo. Sicuramente è stata una delle figure più importanti della mia vita.»

Incontro

Seconda tra le canzoni più tristi del cantautorato italiano che meritano di essere sottolineato è Incontro di Francesco Guccini. Il brano, facente parte dell’album Radici del 1972, è stato raccontato direttamente dal cantautore italiano, che ne ha spiegato la genesi: «Incontro parla di un’amica mia che, bontà sua, era innamorata di me. Era anche molto carina, ma aveva poche tette e io ero molto sensibile all’argomento. Oggi guardo altre cose, anche perché sono cambiati i tempi. In quegli anni avere la ragazza senza tette era un handicap mica da ridere. Con questa ragazza rimanemmo comunque amici. Diventò professoressa di ginnastica e si sposò con un americano che viveva a Bologna. Per un po’ vissero in America, poi si trasferirono a Berlino e fu lì che si innamorò di un altro, un tipo piuttosto instabile, purtroppo. Così, quando a Natale lei raggiunse suo figlio in America, lui fece l’albero e si impiccò. Al suo ritorno in Italia la mia amica venne subito a cercarmi per raccontarmi cos’era successo. Andai a trovarla, e dopo quel pomeriggio trascorso insieme scrissi Incontro, forse il mio primo tentativo di scrivere per immagini veloci, molto cinematografiche.»

Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi

Dello stesso anno del precedente è il celebre brano Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi di Lucio Battisti, scritto in collaborazione del paroliere Mogol. La canzone racconta di uno stato di apprensione ed esitazione continuo, che genera quel clima di tristezza che la rende parte delle canzoni più tristi del cantautorato italiano. Le note tipiche di madrigalismo sono oggetto della trattazione del pezzo, all’interno del quale echeggiano le realtà di una vecchia storia d’amore.

L’ultimo spettacolo

Un capolavoro di grandissima entità, che porta uno dei più acuti geni del cantautorato italiano – Roberto Vecchioni – a raccontare la fine di una storia d’amore, attraverso una trattazione delicata, metaforica e degna di essere ricordata. Il brano di Roberto Vecchioni, facente parte dell’album Samarcanda, va ascoltato per la sua bellissima rappresentazione, per quanto oggettivamente triste.

Caruso

Chiudiamo questa nostra classifica relativa alle canzoni più tristi del cantautorato italiano con una perla di inestimabile valore, che porta la firma di Lucio Dalla. Come spiegato dal cantautore bolognese, la canzone – che risente molto degli echi di Ditencello Vuje, sia nel ritornello che nella struttura del brano – è stata determinata dai racconti che Dalla ha avuto modo di ascoltare in un albergo a Sorrento, dove anni prima aveva soggiornato Enzo Caruso. I proprietari dell’albergo hanno avuto modo di raccontare gli ultimi giorni di vita del tenore, e della sua grandissima passione per il canto.

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