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5 album terribili scritti da grandi artisti

La storia della musica è costellata di numerosi album sensazionali, capaci di vendere milioni e milioni di dischi, consegnando gloria eterna alla band o al singolo artista che li ha realizzati. Naturalmente però non sempre si riesce a dare il meglio di sé. È capitato infatti che anche musicisti grandiosi abbiano dato forma ad un album molto al di sotto delle aspettative della critica e dei fan.  Vediamo dunque cinque esempi di album terribili scritti da grandi artisti.

The Beatles – “Yellow Submarine” (1969)

Il problema di “Yellow Submarine”, come album, film e progetto nel suo complesso, è che i Beatles ne furono poco coinvolti. Per contratto obbligati a fornire alcune nuove canzoni, i membri della band non hanno nemmeno prestato le loro voci per il film vero e proprio, motivo per cui questa colonna sonora sembra così al di sotto della qualità a cui la band di Liverpool aveva abituato i propri ascoltatori.

Bob Dylan – “Self Portrait” (1970)

“Self Portrait” è senza dubbio l’album più incompreso della carriera di Dylan, ma questo non lo rende un buon disco. Pubblicato a seguito del successo di “Nashville Skyline” del 1969, “Self Portrait”, rilasciato in fretta, era in effetti un modo per battere i contrabbandieri e mandare nuove canzoni nei negozi. Lo stesso Dylan ha riconosciuto che il risultato non fu buono. L’album è stato riscattato in qualche modo con una versione ufficiale della serie Bootleg del 2013, che ha portato alla luce altre canzoni dal caveau e ha fornito una coesione e chiarezza ad un album che fino ad allora aveva lasciato perplessi anche i fa più accaniti.

Van Halen – “Van Halen III” (1998)

Mentre Van Halen ricoprì anche il ruolo di cantante negli anni precedenti, in “Van Halen III”, l’undicesimo album in studio della band, pubblicato nel 1998, è stato con Gary Cherone, ex degli Extreme, alla voce. Il problema dell’album è che non racchiude in sé un particolare elemento di fantasia o creatività. Secondo alcuni critici dell’epoca “Van Halen III” suonava meno come il Van Halen che il mondo aveva imparato a conoscere e ad amare e più ad una tribute band che si sforzava di suonare come la formazione originale.

Michael Jackson – “Michael” (2010)

Sebbene Michael Jackson fosse un’entità singolare nel canone della musica pop, parte del suo successo può essere contribuito al suo rapporto di lavoro con il produttore Quincy Jones. Nel 2001 il cantante ha deciso di voler portare il suo suono su una piega contemporanea, lavorando con una varietà di produttori “ultra hip” e “top of the line” per creare un album, che finì però per essere stilisticamente incoerente.

Metallica e Lou Reed – “LULU” (2011)

Quando si venne a sapere di questa collaborazione, molti ne furono entusiasti, visto che vedeva unirsi lo sforzo di alcuni tra i più grandi musicisti che il rock possa ricordare. Tuttavia, al momento dell’uscita, i fan hanno capito che qualcosa non andava. La voce stridente e parlata di Reed sui riff smorzati dei Metallica non è altro che un relitto acustico di quello che in origine molti ascoltatori si aspettavano.

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